Descrizione Progetto
PATOLOGIE ARTI INFERIORI
(Ginocchio, Anca, Caviglia)
ALLUCE RIGIDO
L’alluce rigido é una patologia della prima articolazione metatarso-falangea, caratterizzata da dolore nel movimento, formazione di esuberanza ossea (osteofita) e limitazione della flessione dorsale dell’alluce.
Sono state descritte due forme di alluce rigido: la forma acquisita dell’adulto e la forma dell’adolescente o giovanile. La forma acquisita dell’adulto é caratterizzata da alterazioni degenerative diffuse a carico dell’articolazione metatarso-falangea dell’alluce, mentre la forma dell’adolescente si caratterizza per un danno articolare localizzato. Un processo degenerativo localizzato dell’articolazione viene considerata l’eziologia tipica della forma acquisita dell’adulto.
Esiste disaccordo sui fattori predisponenti a tale alterazione; il denominatore comune a tutte le teorie, fino ad oggi, é costituito dal carico aumentato ed eccentrico sulla prima articolazione metatarso-falangea.
I fattori predisponenti per l’alluce rigido dell’adolescente comprendono la testa metatarsale congenitamente appiattita o squadrata, l’osteocondrite e, come nella forma dell’adulto, un trauma acuto o cronico. Infine, possono contribuire allo sviluppo di un alluce rigido un processo artrosico sistemico o un’artrite settica.
I pazienti descrivono spesso un inizio insidioso con dolore correlato all’attività in corrispondenza della prima articolazione metatarso-falangea; le normali calzature non risultano piú comode a causa dell’aumentata massa dovuta allo sviluppo dell’osteofita dorsale.
Si modifica il passo poiché le forze di carico si spostano lateralmente per compensare la limitazione della dorsiflessione dell’articolazione metatarso-falangea.
I segni clinici variano in base alla gravità del processo patologico.
Le radiografie mostrano tipicamente le classiche alterazioni degenerative a carico della prima articolazione metatarso-falangea.
Nelle fasi avanzate della malattia sono necessarie modifiche delle calzature. L’aumento della profondità della punta della calzatura puó contenere l’articolazione aumentata di volume. L’aumento della rigidità della suola può portare alla diminuzione dei sintomi.
Sono disponibili scarpe con suola ed inserti rigidi. Puó essere di aiuto una lamina di alluminio/acciaio leggero o di fibre di carbonio. Quando un paziente usa una scarpa più rigida, si consiglia una suola con fondo a culla o una barra metatarsale per favorire lo spostamento del peso.
I trattamenti fisioterapici indicati sono chinesiterapia associata a tecarterapia.
PIEDE PIATTO DEL BAMBINO
E’ un piede caratterizzato dall’appiattimento della volta plantare normalmente formata dalla forma e dal reciproco incastro delle ossa del piede, dalla maturità del tessuto connettivo costituente capsule e legamenti, e dal perfetto funzionamento di una serie di muscoli chiamati cavizzanti. Quando il bambino inizia a camminare, l’immaturita’ del tessuto connettivo e lo scarso sviluppo dei muscoli permettono un ampia escursione dei movimenti ammortizzanti del piede, con l’appiattimento della volta ad ogni passo.
Questo fenomeno iniziale non e’ un fenomeno di insufficienza ma un importante elemento di apprendimento. La volta che si appiattisce permette infatti di toccare o di sfiorare il suolo ad una serie di elementi riflessogeni posti nella pianta del nostro piede, i quali inviano informazioni cosiddette propriocettive ai centri nervosi che a loro volta azionano per via riflessa spinale i muscoli deputati alla creazione e al mantenimento della volta informandoli della quantita’ e della forma che ad essa devono conferire.
Quando per cause ancora non perfettamente note si verifica un rallentamento o un inceppamento di questi meccanismi, per cui la volta plantare tarda ad assumere la sua forma e dimensione normale o non si forma affatto, ci troviamo allora di fronte ad un piede piatto.
In taluni soggetti, può essere utile la programmazione di un percorso riabilitativo con esercizi adeguati.
TALALGIE
Le talalgie sono disturbi retropodalici, colpiscono prevalentemente il sesso maschile perché portatori di scarpe con tacco troppo basso, e quindi una concentrazione dei carichi sul calcagno. Il dolore è generalmente più acuto al mattino all’inizio della deambulazione e tende ad attenuarsi nelle ore successive, per ripresentarsi nuovamente a fine giornata.
I trattamenti indicati sono laserterapia e tecarterapia, stretching della fascia plantare. In alcuni casi può essere indicata una valutazione baropodometrica per l’esecuzione di eventuali plantari.
DISTORSIONE DEL GINOCCHIO
Per distorsione si intende l’insieme delle lesioni capsulo-legamentose prodotte da una sollecitazione che tende a modificare i reciproci rapporti dei capi articolari. Sono lesioni frequentissime nell’età adulta.
Le distorsioni del ginocchio avvengono frequentemente e si verificano a causa (traumi da sport, da lavoro etc.),che sollecitano l’articolazione al di là dei limiti fisiologici del movimento articolare determinando una vera e propria instabilità articolare, inoltre il loro trattamento tradivo o inadeguato può dar esito ad una grave instabilità cronica del ginocchio. I meccanismi traumatici più frequenti in grado di provocare distorsioni del ginocchio sono il valgismo e rotazione esterna e il varismo e rotazione interna.
Le distorsioni possono essere :
• Distorsione di I° : semplice distensione o distrazione di alcuni fasci dei legamenti interessati;
• Distorsioni di II°: lacerazione legamentosa parziale;
• Distorsione di III°: lacerazione legamentosa totale.
È molto importante la distinzione tra:
• Lesioni periferiche (capsula, legamenti collaterali, etc.);
• Lesioni centrali (legamenti crociati) associate o meno a lesioni periferiche;
• Le lesioni centrali sono le più gravi perché compromettono maggiormente la stabilità del ginocchio.
In molti casi di lesioni capsulo-legamentose del gniocchio può esserci l’associazione di lesioni meniscali.
La sintomatologia si basa su un dolore improvviso conseguente ad un trauma e , spesso sensazione di “crack” e nei casi più gravi il paziente riferisce la sensazione di “ginocchio andato fuori posto”.
Si può rilevare:
• Impotenza funzionale più o meno accentuata;
• Tumefazione del ginocchio;
• Ballottamento rotuleo;
• Impossibilità di estensione completa;
• Dolore spontaneo diffuso e intenso (in alcuni casi può essere assente per via dell’interruzione delle vie sensitive afferenti);
• Dolore alla pressione;
• Instabilità articolare.
L
SINDROME FEMORO-ROTULEA
La sindrome femoro-rotulea è una condizione dolorosa dell’area anteriore del ginocchio, legata al cattivo scorrimento tra rotula e femore. Il dolore, che può essere molto importante, nasce in modo improvviso, talvolta senza alcuna ragione, conducendo anche ad un blocco dell’articolazione di natura antalgica. Il dolore è legato all’infiammazione della cartilagine sia della rotula sia della gronda femorale (condropatia). Tale infiammazione è legata al cattivo scorrimento rotuleo durante la flesso-estensione del ginocchio. In particolare la rotula si “lateralizza”, cioè scorre più sul margine esterno del ginocchio, aumentando l’attrito con il femore.
Tale “lateralizzazione” chiamata anche “iperpressione esterna” o “malallineamento rotuleo” può essere dovuta principalmente a 3 situazioni:
• Ipotrofia del Quadricipite;
• Sovraccarico Funzionale in Flessione del ginocchio;
• Anomalia dell’anatomia della gronda femorale.
L’ipotrofia quadricipitale è la causa che maggiormente conduce a questa Sindrome (90% dei pazienti); viene a mancare, infatti, la forza stabilizzante del muscolo, che per primo si oppone alla lateralizzazione della rotula. Altre volte può esservi una causa legata ad un sovraffaticamento, come in quei pazienti in cui si scatena il dolore dopo una “camminata” in montagna, oppure una sessione sportiva pesante, specialmente se si è praticato uno sport con il ginocchio flesso (es. pallavolo).
In una piccolissima parte dei pazienti il problema può invece essere dovuto ad un’anomalia anatomica della gronda femorale, che è “svasata” e quindi mal contiene la rotula. Questi pazienti in genere presentano anche una storia di ripetute “lussazioni” della rotula, con il ricorso a dolorose “riduzioni” in Pronto Soccorso.
La radiologia convenzionale, eseguita con il ginocchio in flessione, riesce a diagnosticare la sindrome nella gran parte dei casi. La risonanza magnetica (RMN) può essere dirimente nei casi in cui la diagnosi è più difficile, oppure quando si vuole valutare un’eventuale lesione cartilaginea. Anche la TAC viene utilizzata nello studio di questa articolazione. La terapia della sindrome femoro-rotulea è, nella maggior parte dei casi, fisioterapica. Per il dolore, si possono eseguire sessioni di tecarterapia e laserterapia. È necessaria un’accurata rieducazione funzionale del quadricipite, sviluppando in particolar modo il Vasto Mediale Obliquo, che ne è un’importante componente.
Il paziente concluderà la rieducazione con il nuoto a stile libero (non la rana) e la cyclette a sella alta (dolcemente). Può essere consigliato l’uso di particolari ginocchiere rotulee, su indicazione dello specialista ortopedico.
Raramente, e con risultati talvolta insoddisfacenti, il trattamento è chirurgico. La chirurgia viene infatti impiegata nei rari pazienti a cui si è lussata la rotula in almeno un episodio.
GONARTROSI
L’artrosi è una malattia molto diffusa che colpisce vari tipi di articolazioni del corpo umano. L’artrosi del ginocchio (detta, appunto, gonartrosi) è la più comune. La gonartrosi è spesso all’origine di forti dolori e di un’importante limitazione funzionale del ginocchio, a volte ben prima che si manifestino dei segni radiologici. Il principale meccanismo che porta all’artrosi è la degradazione della cartilagine, con conseguente iperattività dell’osso sub condrale (l’osso situato subito al di sotto della cartilagine) e produzione di osteofiti.
Quando insorge l’artrosi si prova dolore, ma la cartilagine non ha recettori del dolore. L’origine del dolore nella gonartrosi sembra provenire dai recettori che si trovano a livello dell’osso sub condrale (la porzione ossea al di sotto della cartilagine, che viene sollecitata direttamente mancando la cartilagine stessa). Detto in altre parole, quando inizi a sentire dolore all’anca o al ginocchio l’artrosi è già arrivata a un livello avanzato.
Tra le cause del dolore al ginocchio colpito da artrosi, poi, ci sono anche l’infiammazione della membrana sinoviale, le lesioni meniscali e i danni periostali.
La gestione ottimale della gonartrosi è basata su sessioni di tecarterapia, ultrasuoni e chinesiterapia. Nei casi avanzati, si deve considerare l’opzione chirurgica.
SINDROMEE DELLA BANDELLETTA ILEOTIBIALE
La sindrome della bandelletta ileotibiale è una lesione da overuse (uso eccessivo) caratterizzata da dolore al ginocchio nella parte laterale, principalmente nella regione del condilo femorale laterale o inferiormente ad esso, soprattutto dopo movimenti ripetuti del ginocchio, in genere durante la corsa o in altri sport come ad esempio nel ciclismo.
Negli ultimi anni è stato riscontrato un aumento di questa sindrome che potrebbe essere correlato al numero crescente di corridori in tutto il mondo.
La fascia ileotibiale è un ispessimento laterale del muscolo tensore della fascia lata della coscia. Prossimamente si divide in strati superficiali e profondi, è ancorata alla cresta iliaca e riceve le fibre dal tensore della fascia lata e dal grande gluteo. La bandelletta ileotibiale è generalmente vista come una banda di tessuto connettivo fibroso denso che passa sopra l’epicondilo femorale laterale e si inserisce sul tubercolo di Gerdy nell’aspetto anterolaterale della tibia. La sindrome della bandelletta ileotibiale è una diagnosi clinica e richiede raramente ulteriori studi ed esami strumentali, anche se in alcuni casi potrebbe essere indicata, ad esempio, la risonanza magnetica per escludere un altro disturbo nella regione coinvolta. Il paziente riferisce dolore laterale al ginocchio localizzato nell’area tra il tubercolo di Gerdy e l’epicondilo laterale.
Il trattamento elettivo per la sindrome della bandelletta ileotibiale nella maggior parte dei pazienti è la gestione non chirurgica.
Il trattamento conservativo prevede diverse opzioni:
- Limitazione o modificazione delle attività: il paziente deve astenersi dall’attività fisica svolta soprattutto nelle fasi iniziali della patologia e fino a quando il dolore non è risolto. Il ritorno all’attività sportiva può avvenire in modo graduale e solo quando non è presente più dolore;
- Utilizzo di ghiaccio potrebbe essere utile nell’alleviare la sintomatologia;
- Fisioterapia: stretching, tecniche miofasciali e articolari sono utilizzate per rilasciare le restrizioni miofasciali nella banda iliotibiale e nelle strutture correlate, recuperare la mobilità delle articolazioni disfunzionali e ripristinare la corretta flessibilità delle strutture coinvolte. Può essere utile l’acquisto di un foam roller per migliorare l’elasticità muscolare e per trattare eventuali trigger point;
- Esercizio terapeutico per il rinforzo dell’arto coinvolto;
- Tecarterapia per migliorare l’elasticità tessutale;
- Onde d’urto: potrebbero essere utili per migliorare la sintomatologia;
- Modifica delle scarpe in caso di eccessiva usura e utilizzo di ortesi al piede.
L’entità della distorsione della caviglia dipende dall’energia che viene esercitata sulla caviglia stessa, per cui non sempre dipende dal tipo di caduta o dalla velocità della corsa, ma possono concorrervi altri elementi quali il peso del paziente e il meccanismo con cui avviene l’infortunio. Una distorsione della caviglia provoca una serie di eventi che si susseguono secondo una sequenza piuttosto precisa. Le strutture di sostegno, cioè, si lesionano una di seguito all’altra seguendo un iter che l’ortopedico esplora sin dalla prima visita.
Una distorsione alla caviglia ha luogo quando il movimento dell’articolazione va oltre il suo normale range di movimento. All’origine di una distorsione della caviglia c’è sempre un trauma: questo può essere dovuto a una caduta, a un atterraggio scorretto dopo un salto o al camminare su una superficie irregolare.
La sintomatologia tipica della distorsione alla caviglia include:
• Dolore nell’area interessata dalla distorsione, che si acuisce quando si sposta il peso sulla caviglia distorta;
• Gonfiore
• Limitazione nei movimenti
Nei casi più gravi possono comparire ecchimosi o ematomi, una condizione che rende la distorsione della caviglia particolarmente dolente in quanto si crea una difficoltà a livello circolatorio periferico, con accumulo di tossine, contrazione muscolare e conseguente forte algia sulla zona interessata.
La base del trattamento per una distorsione alla caviglia consiste in riposo, ghiaccio, elevazione dell’arto interessato, farmaci antiinfiammatori.
Può essere necessario bloccare l’arto interessato dalla distorsione mediante bendaggio o apparecchio gessato.
Dopo il primo trattamento viene impostato un programma di controlli ambulatoriali con la funzione di valutare la progressione della guarigione, richiedere eventuali esami di approfondimento, prescrivere terapie fisiche e impostare il protocollo riabilitativo.
Tra le terapie fisiche che possono venire prescritte per il trattamento di una distorsione della caviglia: tecarterapia, laserterapia, ultrasuoni. Di fondamentale importanza, sarà la fase riabilitativa, che dovrà includere un programma propriocettivo.
Esempio di trattamento a seguito di distorsione della caviglia
SPINA CALCANEARE E SPERONE CALCANEARE
La spina calcaneare è uno sperone osseo anomalo che si sviluppa nella parte posteriore o inferiore del nostro calcagno. Ha una somiglianza con la spina di una rosa quindi appare molto appuntita. Spesso associata a problematiche del tendine d’Achille, la spina calcaneare è la possibile conseguenza di: lesioni a carico di un tendine o un muscolo del piede, stiramenti eccessivi della fascia plantare oppure strappi ripetuti del periostio del calcagno.
Il sintomo più caratteristico della spina calcaneare è il dolore al piede. Per poter avere una diagnosi corretta, l’esame più importante è la radiografia del piede. Può succedere infatti che si associ erroneamente ad una distorsione della caviglia sulla base della sintomatologia.
Il trattamento di prima linea è di tipo conservativo. Nel nostro scheletro esistono due tipologie principali di spina calcaneare: la spina calcaneare inferiore e la spina calcaneare posteriore. Come si può intuire dai nomi delle due tipologie, l’elemento che distingue le due condizioni è la localizzazione dell’osteofita sul calcagno.
Nella spina calcaneare inferiore, l’osteofita risiede sulla pianta del piede, al di sotto del calcagno, precisamente a livello del punto d’inserzione della fascia plantare. Nella spina calcaneare posteriore: l’osteofita risiede nella parte posteriore del calcagno, a livello dell’inserzione del tendine d’Achille.
Il lavoro del fisioterapista può rappresentare un rimedio concreto per guarire la spina calcaneare, ed è in grado di migliorare il sintomo fino quasi alla sua scomparsa. Per queste tipologie di trattamento si eseguono delle terapie volte alla riduzione del dolore. Si esegue della terapia manuale volta al rilasciamento delle catene fasciali, quindi allungamento della fascia, ma anche delle terapie dal punto di vista posturale, lavorando con delle mobilizzazioni (questo anche al fine di evitare che un’eccessiva rigidità porti ad una distorsion della caviglia), massaggio o esercizi come scarico con la pallina da tennis, tutti rivolti a rinforzare la muscolatura e migliorare la mobilità articolare.
Infine l’ortesi plantare sotto al tallone va bene per scaricare la zona del dolore. L’utilizzo di ortesi plantari da inserire nelle calzature di tutti i giorni e non solo, infatti è utile a ridurre la sensazione dolorosa sia in presenza di fascite plantare sia in presenza di problemi al tendine d’Achille.
Per i trattamenti strumentali vi sono delle terapie fisiche che sono davvero molto utili a rinforzare la muscolatura e migliorare la mobilità articolare, come le Onde d’urto, la tecarterapia.
TROCANTERITE/BORSITE PERITROCANTERICA
La trocanterite, spesso definita anche borsite trocanterica, è caratterizzata dalla presenza di dolore nella parte superiore esterna della coscia.
Il sintomo più comune è rappresentato dal dolore nella parte esterna della coscia nell’area dell’articolazione dell’anca. Molte persone descrivono questo dolore come profondo, che in alcuni casi genera indolenzimento o bruciore. Il dolore può peggiorare col tempo, diventare più intenso quando si è coricati sul fianco, in particolare durante la notte. Inoltre il dolore può peggiorare facendo attività fisica ed il cammino può presentare zoppia.
Dal punto di vista riabilitativo vengono utilizzate:
• Tecniche di massaggio per la muscolatura e i tessuti limitrofi;
• Terapie fisiche locali quali tecarterapia e laserterapia ad alta potenza;
• Onde d’urto focali;
• Esercizi riabilitativi distrettuali e globali con finalità di riequilibrio, rinforzo ed allungamento.
TENDINITE ACHILLEA
Tra le tendinopatie più frequenti troviamo quella del tendine d’Achille. Il tendine d’Achille è il tendine più largo e resistente del corpo umano. Anatomicamente collega i muscoli del polpaccio, il soleo ed il gastrocnemio, con la parte posteriore del calcagno.
La tendinopatia achillea si scatena per un sovraccarico funzionale (overuse) e colpisce soggetti che effettuano sport come la corsa, il calcio, la danza. Con il termine tendinite (o peritendinite) è indicato un processo infiammatorio a carico del paratenone, il tessuto connettivo che avvolge e protegge il tendine. Il termine tendinosi indica un processo degenerativo del tendine stesso. Spesso questo processo degenerativo del tendine può essere asintomatico.
La tendinopatia achillea può insorgere nel punto di inserzione del tendine sul calcagno (tendinopatia achillea inserzionale) o nella porzione intermedia, da 3 a 6 cm più in alto rispetto al tallone. Questa porzione di tendine ha una vascolarizzazione ridotta, pertanto è più soggetta ad un processo di degenerazione.
I fattori predisponenti della tendinopatia Achillea sono:
• Sovraccarico funzionale con rischio associato di distorsione della caviglia;
• Terreni d’allenamento troppo duri;
• Calzature non idonee;
• Disturbi posturali.
Inoltre la rigidità del tendine d’Achille è un fattore predisponente alla fascite plantare.
Il protocollo riabilitativo del tendine d’Achille mira alla riduzione del dolore e alla rieducazione al carico del tendine stesso. Nella riabilitazione della tendinopatia achillea indispensabile è l’esercizio terapeutico. Il dolore deve essere usato come metro per capire fin quanto il tendine può essere caricato. Gli esercizi di rinforzo in eccentrica sono un punto cardine della riabilitazione del tendine d’Achille. Salti, cambi di direzione e sprint sono da evitare nella prima fase del percorso riabilitativo.
L’utilizzo di terapie fisiche come laserterapia ad alta potenza e tecarterapia è indicato per la riduzione del dolore nel breve periodo. Le onde d’urto sono particolarmente indicate per il trattamento delle tendinopatie. Consigliamo le onde d’urto radiali per il trattamento della porzione intermedia del tendine, mentre le onde d’urto focali sono consigliate per il trattamento delle tendinopatie inserzionali.
FASCITE PLANTARE
La fascite plantare è un’infiammazione a carico dell’aponeurosi plantare (chiamata anche fascia plantare o legamento arcuato).
La fascia plantare è una fascia robusta costituita da tessuto fibroso che origina dal calcagno e si inserisce su tutte le falangi prossimali. Ha un ruolo fondamentale nella trasmissione del peso del corpo durante le fasi della deambulazione. Da un punto di vista anatomico e funzionale presenta una continuità con il tendine d’Achille. Al di sotto della fascia plantare è invece presente il cosiddetto cuscinetto adiposo plantare, un accumulo di tessuto adiposo la cui funzione è quella di assorbire gli urti a cui il piede è continuamente sottoposto.
La causa principale di questa patologia è una degenerazione strutturale del legamento arcuato dovuta a microtraumi ripetuti. Un’eccessiva sollecitazione del tallone può provocare un’infiammazione dell’inserzione dell’aponeurosi plantare.
Un piede eccessivamente piatto o cavo può essere soggetto a episodi di fascite.
Anche una tendinopatia achillea o una distorsione della caviglia possono possono essere correlate all’insorgenza di una fascite plantare.
Un’altra causa comune può essere l’aumento del chilometraggio senza un’adeguata preparazione.
I fattori di rischio della fascite plantare sono l’età (superati i 40 anni il cuscinetto adiposo a livello della fascia plantare tende a ridursi con conseguente riduzione della capacità di assorbimento dei microtraumi), l’obesità, alcune attività sportive tra le quali il calcio, la danza e la corsa (è un disturbo molto comune nei runner amatoriali), attività lavorative che costringono per molto tempo alla posizione eretta, calzature inadeguate.
Il dolore può insorgere al centro del tallone o della pianta del piede e prolungarsi fino alle dita o risalire fino alla gamba.
La sintomatologia della fascite plantare è generalmente molto fastidiosa. Il dolore può essere continuo durante la giornata e persino più acuto la mattina, appena scesi dal letto.
Nella fase acuta dell’infiammazione il paziente può trovare giovamento con delle sedute di fisioterapia: trattamenti combinati di laserterapia, tecarterapia e stretching dolce della fascia plantare e del tendine d’Achille.
Nel caso di fascite plantare cronica associata o meno a spina calcaneare si possono eseguire trattamenti con onde d’urto.
METARSALGIA
La metatarsalgia è una sindrome dolorosa che si sviluppa nella regione anteriore della pianta del piede. Il termine metatarsalgia non definisce un processo patologico determinato, ma semplicemente una sintomatologia dolorosa che può comparire come conseguenza di diversi fattori causali.
La metatarsalgia (letteralmente dolore al metatarso da non confondere con la sintomatologia associata da una distorsione della caviglia) colpisce maggiormente le donne e abitualmente è associata ad anomalie di appoggio delle teste metatarsali; ciò è confermato spesso dalla presenza di callosità plantari in corrispondenza delle teste metatarsali dolorose.
I metatarsi sono costituti da 5 ossa disposte tra le ossa del tarso e le falangi delle dita del piede.
Le ossa del metatarso sono collegate alle dita del piede attraverso l’articolazione metatarso-falangea. Si collegano invece al tarso, regione posteriore del piede che precede la caviglia, per mezzo dell’articolazione tarso-metatarsale.
Le ossa metatarsali presentano due estremità (dette base e testa) e un corpo, di forma prismatica triangolare. Lo spazio interosseo è colmato da tessuti molli. I cinque metatarsi assolvono una funzione molto importante nel sostegno del nostro apparato locomotore e nello svolgimento della corretta funzione motoria del piede.
Le terapie adeguate sono sedute di tecarterapia, laserterapia, ultrasuoni in acqua, terapia manuale e rieducazione posturale.
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